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La violenza sessuale del marito nei confronti della moglie

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Quando si può configurare la violenza sessuale fra marito e moglie?

Un uomo è stato condannato sia in primo grado che in secondo grado per il reato di maltrattamenti in famiglia e per il reato di violenza sessuale per aver costretto la propria moglie a cedere alle infinite pressioni e richieste del marito di avere rapporti sessuali.

La condanna per il reato di violenza sessuale muove la sua motivazione sull’argomentazione dei Giudici sul concetto di “violenza”. Abitualmente caratterizzata dall’uso forza fisica per ottenere qualcosa, la “violenza, può altresì manifestarsi anche attraverso l’induzione nella vittima di uno stato di vergogna disagio e prostrazione“.

Ed è proprio quanto accaduto e quanto confermato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n.42993/15.

In un contesto di violenza familiare, il marito per ottenere un rapporto sessuale dalla moglie non aveva la necessità di costringere fisicamente la donna. Non aveva bisogno di usare la forza fisica. Infatti il contesto di prepotenze e soprusi in cui viveva la donna, avevano generato nella stessa un compiuto stato di vergogna e imbarazzo tale da far cedere la moglie alle pressanti avances del marito perché ormai “stanca e sfinita”.

La Suprema Corte afferma che “la violenza idonea ad integrare il delitto di vilenza sessuale è anche quella che induce la vittima in uno stato di soggezione. Disagio o vergogna sì che ella si determina ad assecondare le richiesta del proprio abusatore per evitare danni maggiori, a sé o ai figli”.

Quella descritta si chiama “condotta necessitata”, la quale evidenzia in termini incontestabili l’assenza del consenso al rapporto sessuale della moglie.

La corte di Cassazione ha sempre ribadito che la violenza idonea a coartare la vittima di un abuso sessuale non va esaminata secondo criteri astratti ma rapportata al caso materiale, valorizzando la condotta concreta dell’abusatore “sicché può sussistere anche in relazione ad una intimidazione psicologica attuata in situazioni particolari tali da influire negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima, senza necessità di protazione nel corso della successiva fase esecutiva”.

Ciò significa che, in un ambiente di violenze e maltrattamenti, la scelta della donna di concedersi al marito che le richiedeva un rapporto sessuale è frutto, non di libera autodeterminazione, ma scelta obbligata dal contesto violento in cui la coppia viveva; e anche se tale violenza non si è manifestata durante l’esecuzione del rapporto, il delitto di violenza sessuale è pienamente configurato per le ragioni esposte prima.

È per le medesime ragioni non si può certo invocare la scriminante è prevista dall’art 52 cod. penale del “consenso dell’avente diritto” in quanto, dalla ricostruzione è ben chiara l’assenza del consenso della vittima che soggiace in uno stato di violenze psicologiche e fisiche è che acconsente al rapporto solo per sfuggire ad un danno più grande.

La Suprema Corte ha quindi confermato la condanna a quattro anni di reclusione per l’uomo.

E’ evidente, inoltre, che la violenza sessuale del marito nei confronti della moglie, ben potrebbe determinare a suo carico una separazione con addebito.

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